giovedì 29 luglio 2010

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martedì 27 luglio 2010

Dal merito a Bertolt Brecht

Ricevere un riconoscimento che ha il nome di don Milani fa domandare la ragione del premio. Nel mio caso, quello che mi è immediatamente chiaro è ciò che non sono: non sono berlusconiano. E non mi riferisco all’individuo che si chiama con quel cognome, ma a uno stile di vita che si sintetizza in quel termine. E che può andare oltre la parabola esistenziale del personaggio. In altre parole: anche se Silvio Berlusconi si ritirasse dalla politica, è possibile e probabile che il berlusconismo continui, come l’inquinamento va molto oltre il tempo di attività di Chernobil.

E’ necessario cercare di capire cosa significa berlusconismo, e così cercare di capire come non sia né facile né semplice non essere berlusconiano. Personalmente credo di essere aiutato a non esserlo per il fatto che appartengo a una tribù, che ha anche a che fare con la Pedagogia Speciale ma non solo; e che questa appartenenza mi impegna e mi sostiene. Il premio lo assumo per la tribù a cui appartengo, e non come individuo solitario.

Nel berlusconismo c’è una continua corruzione delle parole. Parole come onestà, progetto, consenso, e tante altre, sono continuamente distorte e corrotte. Nel mondo dell’educazione, e in particolare della scuola e dell’università, parole come autonomia, partecipazione, responsabilità, e molte altre, sono distorte e corrotte. Mi soffermerò in particolare sulla parola merito, anche perché mi domando seriamente se merito il premio che mi viene attribuito.

Merito è una parola molto utilizzata, soprattutto nel suo derivato meritocrazia. Uno degli obiettivi, e uno dei vanti, di un certo modo di proporre un progetto politico fa riferimento alla necessità di restaurare i principi meritocratici. Che, nella corruzione delle parole, sono intesi come meriti individualisti e predestinati. Il merito viene considerato un frutto della fortuna. Chi nasce fortunato,e chi nasce sfortunato. Secondo questo presupposto, i principi meritocratici possono essere interpretati come l’individuazione il più possibile precoce dei fortunati, i meritevoli, che devono ricevere tutte le attenzioni. Mentre gli altri, i sfortunati immeritevoli, devono essere messi in condizione di non far perdere tempo, energie e soldi. Per questo, coerentemente, è non solo inutile ma dannoso come ogni sperpero, organizzare tempo pieno scolastico, insegnanti specializzati per l’integrazione, compresenze, e altri accorgimenti didattici. E nelle università è dannoso perdere tempo, energie e soldi per la ricerca didattica che tenga conto dei bisogni speciali di alcuni, gli sfortunati. In questa impostazione, risultano spese improduttive quelle che riguardano quel settore che viene sovente indicato come “il sociale”, e che si occupa di soggetti problematici (sfortunati e immeritevoli).
Le spese considerate improduttive sono sempre le prime candidate ad essere tagliate. La dinamica dei tagli dovrebbe essere nota. Le leggi finanziarie del governo nazionale tagliano i fondi degli enti locali, che devono provvedere a settori come quello sociale. Le ricadute delle riduzioni operate dal governo nazionale espongono gli enti locali a dover scegliere fra la riduzione dei servizi e la riscossione, decisamente impopolare, di nuovi contributi da parte dei cittadini. E’ quindi evidente che questa concezione di principi meritocratici ha un risvolto economico di grande importanza. L’individualismo di questi principi é rinforzata, e si rinforza, con una dimensione individualistica dell’economia. Ma una dimensione individualistica dell’economia può avere prospettive di futuro unicamente rinforzando le difese – e quindi spendendo… - nei confronti degli altri.
In questo punto, la corruzione della parola merito si intreccia con la corruzione di altre parole, come ad esempio “responsabilità” che viene corrotta in “individualismo” e in “fai da te”. O anche “libertà” che si corrompe con “insicurezza” e richiama la paura, diventata una componente così indispensabile nella gestione dei poteri, da aver bisogno di dipingerla inventata o ingigantita, e avendo bisogno di mezzi di comunicazione disponibili per questo. Si pensi al modo di trasformare chi è immigrato attraverso una catena sillogistica che lo fa clandestino, e quindi irregolare, e quindi disposto a delinquere. Senza percorrere tutta la catena sillogistica, il sindaco di Milano si è espressa con questa conclusione, ritenendola scontata e banale.
L’insicurezza e la paura diffusa,inoltre, permettono speculazioni e guadagni facili, così come l’emergenza dovuta a calamità o avvenimenti speciali.
Tornando ai principi meritocratici nella prospettiva che ho in sintesi illustrato, basandosi sul binomio fortuna-sfortuna, si trovano in un terreno culturale abbondantemente concimato dalla diffusione, anche o soprattutto attraverso le televisioni, del gioco d’azzardo come stile di vita. Esplicitamente, con giochi di fortuna che permettono di aspirare a consistenti somme di denaro. Ed implicitamente, suggerendo continuamente che sia possibile, se la fortuna aiuta, incontrare successo e sistemazione avendo bell’aspetto, vestito giusto e l’incontro appunto fortunato. Questo permette di fare affari curando bell’aspetto e vestito giusto. L’economia è sempre, in qualche modo, presente. Dal mondo economico produttivo prendo a prestito l’indotto, che è un elemento fondamentale del berlusconismo. Significa non toccare alcuni principi, ma assumere decisioni il cui indotto svuota gli stessi principi che appaiono neanche sfiorati. In questo modo si può ridurre la nostra Costituzione come un guscio vuoto.
La fortuna dei meritevoli e la sfortuna degli immeritevoli secondo quelle che venivano chiamate classi sociali. Una certa classe viene oggi chiamata “casta”. Posso immaginare che questa nuova/vecchia denominazione sia certamente legata all’intoccabilità. Ma questa che è l’interpretazione più facile e vera, può celare un significato che non smentisce ma rinforza il binomio fortuna-sfortuna inducendo la credenza che si possa, grazie alla fortuna, essere fra gli intoccabili.
Il merito, e il demerito, come destino, favorevole o avverso, ma sempre individuale. E il merito come carta di credito ricevuta dalla fortuna e che permette di sfuggire al faticoso calcolo della realtà, al pesante sacrificio che rende possibile ciò che si desidera. Mette fuori gioco la fatica del lavoro per un progetto. Mette fatica e strategia al servizio della caccia alla fortuna. Illude che si possa vivere avendo immediatamente ciò che si desidera e che non si è ancora conquistato. E quindi deforma la percezione della realtà: viene ingigantito mostruosamente il presente, cancellando o quasi passato e futuro. E’ uno dei motivi della diffusione di quel tipo di malessere che chiamiamo “disturbo della bipolarità”, che alterna momenti di euforia e momenti di acuto senso dell’inutilità e del fallimento, e che può portare a consumi rischiosi. Nel berlusconismo, tutto ciò viene traformato in colpa individuale, nella corruzione delle parola responsabilità. Questa sembra sempre isolare l’individuo, sottraendolo ai vincoli di appartenenza e sottraendogli la dimensione sociale, che è una consistente componente della condizione di adulto.

Dedico una riflessione particolare, sempre in rapporto al merito, alle donne e agli uomini, ma anche alle bambine ed ai bambini, con disabilità. Nei principi meritocratici che ho illustrato sinteticamente, occupano un posto particolare: ricevono dei favori, e vengono ammessi fra i meritevoli con la clausola, pietistica, del favore. Questa è una dinamica particolarmente ingiusta, perché coinvolge le vittime in modo che il loro essere vittime possa sembrar loro una fortuna che permette, come si dice, di non pagar dazio. E’ la vittimizzazione, che porta a far credere che si debba risarcire la cattiva sorte con regali, e magari con titoli di studio che non sono stati conquistati ma sono stati appunto regalati. Porta a una sorta di immunità dalle regole che sembrano riguardare tutti gli altri; una sorta di “lascia passare” che permette di agire secondo i propri interessi e comodi a titolo di risarcimento. E’ un danno, un regalo avvelenato.
Questa dinamica si collega all’economia delle speculazioni sulle e delle disgrazie, e certamente ha una lunga storia nelle vicende dei miseri della terra. La figura di chi è storpio, storpiato dai suoi famigliari, perché, nella miseria, possa almeno implorare col suo solo apparire la pietà e le elemosine degli altri, che non possono non sentirsi in colpa se non seguono questi impulsi: è presente nella storia popolare e nella grande letteratura di molte parti del mondo.
L’economia delle speculazioni è connessa alla logica della fortuna-sfortuna. L’organizzazione delle scommesse, dei giochi della fortuna, e della sfortuna, ovvero dei giochi d’azzardo, è uno dei terreni d’incontro, e di confusione funzionale, fra legalità e illegalità. E l’immissione di chi ha bisogni speciali nella logica fortuna-sfortuna è in sintonia con l’idea che, per ragioni eccezionali, non si debba fare la coda, attendere il proprio turno, rispettare le scadenze, e anche pagare le tasse, prepararsi ad un esame o a un concorso… osservare le regole. E’una particolare illegalità che sembra autorizzata dal buon cuore.

La lettura di Lettera a una professoressa può permette di capire che don Lorenzo non ha insegnato, o, se volete, non ha solo insegnato ma ha imparato. E da chi ha imparato? Da coloro che non erano fatti per la scuola, dovevano essere bocciati e avviati, al più, al percorso di serie B, che era l’avviamento professionale. Erano gli imprevisti, coloro che non avrebbero neppure trovarsi in edificio scolastico, previsto per gli altri, i già-meritevoli. Lo stesso può accadere per i soggetti con disabilità che si iscrivono all’università. Qualcuno (molti?) può dire che l’università non prevedeva e non prevede studenti con disabilità. Sono imprevisti.
E’ la logica che Bertolt Brecht (1898-1956) ha illustrato attraverso il dramma didattico in un atto L’eccezione e la regola (1930). Un commerciante viene assolto dall’accusa di aver ucciso il proprio “portatore” che lo accompagnava nella traversata del deserto. Come poteva sapere che il gesto del portatore era di solidarietà (eccezione) e non di ribellione e minaccia (regola)? La regola non prevede che certi soggetti frequentino scuole e università. Se ci sono, sono imprevisti. Ma da loro possiamo imparare. Personalmente ho imparato molto da insegnanti imprevisti: le bidelle ed i bidelli, il personale “non insegnante”.
Imparare dagli imprevisti è il seme dell’educazione attiva, che si basa sulla convinzione che l’educazione sia possibile se e perché l’altro (allievo) è attivo. Il voler togliersi di torno gli imprevisti vuol dire far ricorso a strumenti che possono sembrare rigorosi (selezione, bocciatura, severità…) e scientifici ( farmaci, trattamenti differenziati, specialismi…). Ma togliersi di torno gli imprevisti vuol dire rinunciare alle innovazioni. Gli economisti ci dicono che questa rinuncia significa declino. Le innovazioni derivano dall’accettazione delle sfide che chi non era previsto ci pone.
Le innovazioni didattiche, ad esempio, derivano in massima parte dall’incontro con chi non era previsto, e può insegnare qualcosa all’insegnante. Ma anche le innovazioni industriali nascono dall’incontro con gli imprevisti. Fanno fare uno scarto rispetto agli standard ed alle routines e producono novità che permettono nuovi successi. La medicina è un altro campo in cui le innovazioni positive si producono grazie anche al fatto che i medici non rifiutano di soccorrere chi ha problemi che risultano diversi da quelli che erano stati previsti e per cui erano già preparati. Devono porsi nuovi problemi che esigono nuove terapie, e non la replica di quelle abituali.

Ma il berlusconismo può corrompere e trasformare l’imparare dagli imprevisti in strategia di potere. Chi impara dagli imprevisti non può stare tranquillo. Ha un dovere: deve riorganizzare il sapere, anche quello disciplinare scientifico, con ciò che ha imparato in modo che il sapere appartenga anche a coloro che non erano previsti. In questo ritrovo una delle ragioni della severità di don Lorenzo: tu, che non eri previsto, mi insegni, ed io pretendo che tu impari.
Riorganizzare il sapere può sembrare un’impresa presuntuosa e, in tempi di berlusconismo, può essere interpretata come manovra per il potere e di potere. Demagogia e potere vanno molto bene insieme. Il rischio c’é. Ma c’è anche il suggerimento che viene dalla vita don Lorenzo che si riassume nella condivisione con coloro che non erano previsti e nel loro riconoscimento. La condivisione vuol dire l’isolamento, relativamente ad un certo mondo, di Barbiana. Il riconoscimento è la richiesta di essere accolto dal suo Cardinale dall’ingresso principale e con il tappeto rosso, con gli onori che meritano le persone che lui, don Lorenzo, rappresenta. Non per lui, ma per lui con loro: per loro.
Questo significa credibilità. Che si conquista con la competenza riconosciuta non da consorterie che seguono logiche corporative. Ma da chi ci ha accolto e da cui abbiamo imparato. Da chi non era previsto.


Concludo con una poesia di Bertolt Brecht:

Ho sentito che non volete imparare niente.
Deduco: siete milionari.
Il vostro futuro è assicurato – esso è
Davanti a voi in piena luce. I vostri genitori
Hanno fatto sì che i vostri piedi
Non urtino nessuna pietra. Allora non devi
Imparare niente. Così come sei
Puoi rimanere.
E se, nonostante ciò, ci sono delle difficoltà, dato che i tempi,
Come ho sentito, sono insicuri
Hai i tuoi capi che ti dicono esattamente
Ciò che devi fare affinché stiate bene.
Essi hanno letto i libri di quelli
Che sanno le verità
Che hanno validità in tutti i tempi
E le ricette che aiutano sempre.
Dato che ci sono così tanti che pensano per te
Non devi muovere un dito.
Però, se non fosse così
Allora dovresti studiare.

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